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Cosa sta succedendo agli immobili ecclesiastici nella vecchia Europa?

Feb 8, 2021 | Editoriali

Cosa conviene fare con gli immobili ecclesiastici non più funzionali - Osservatorio Permanente sui Beni Ecclesiastici

È vero che molti conventi, chiese, seminari, case religiose non sono più funzionali? Cosa conviene fare? La dismissione è l’unico orizzonte immaginabile? Ci sono altre soluzioni praticabili? Riflessioni ed orientamenti per una nuova visione e per una rinascita.

La componente immobiliare, nella gestione del patrimonio degli Enti appartenenti alla Chiesa cattolica, rischia di diventare un peso, una causa di preoccupazione ed una fonte di costi. Inoltre, si sente spesso parlare con toni più o meno polemici e scandalistici di conventi e chiese in vendita. Non mancano notizie su ex case generalizie di Congregazioni religiose o ex seminari trasformati in hotel o in appartamenti di lusso. Informazioni frammentarie con titoli sensazionalistici che possono facilmente disorientare fedeli e benefattori.

Si avverte la mancanza di una visione che possa dare luce e prospettiva su questi temi e sulle domande poste all’inizio di questo nuovo editoriale del nostro Osservatorio.

 

La coerenza funzionale del patrimonio immobiliare

Molti compendi immobiliari sono localizzati in Paesi della vecchia Europa con una tradizione cristiana secolare. Fino a metà del novecento, tali luoghi costituivano un vero centro di interesse per la vita sociale, formativa e spirituale delle comunità. Erano pieni di persone e vitalità. Oggi, quelle mura si ritrovano vuote o semivuote. Mancano vocazioni, alunni, seminaristi, sacerdoti, consacrati e consacrate. In particolare, questa tendenza è evidente in Italia, Spagna, Francia, Portogallo ma anche in altri Paesi del Nord Europa.

Oltre alla presenza delle Chiese locali, si registravano infatti una moltitudine di iniziative che caratterizzavano le opere degli Enti religiosi: scuole, ospedali case di cure, conventi e residenze, monasteri e case di formazione e di preghiera, centri di assistenza ed accoglienza. Molti di questi immobili sono di grandi dimensioni e, a volte, anche in ottime posizioni con ampi spazi verdi nelle adiacenze.

Tutto questo è frutto visibile della generosità e del sacrificio di tante persone. Non dobbiamo sorprenderci. La loro origine ha mostrato, da sempre, una funzionalità coerente con la missione della Chiesa e con il diritto canonico. Questi beni sono infatti destinati al culto divino, al sostentamento del clero e dei membri delle Istituti nonché allo sterminato panorama delle opere di carità che comprendono l’educazione e formazione a tutti i livelli e l’attività di assistenza ai più bisognosi: malati, poveri, emarginati, immigrati e rifugiati. La Chiesa è sempre stata in prima linea su questi ambiti nel perseguire il Bene Comune offrendo un indispensabile contributo a livello umano e spirituale. Tuttavia, per realizzare questa missione servono mezzi.

 

Missione e cultura patrimoniale

La missione è dinamica, le esigenze mutano ma non sempre la gestione dei beni è stata dinamica. Spesso è stata conservativa o poco adeguata. Negli ultimi decenni questo “gap”, questo scollamento, si è acuito ed incrementato. Nel passato, la relazione tra la dinamicità della missione e la gestione dei beni immobiliari non è stata accompagnata da una visione illuminata da parte delle Autorità Ecclesiastiche competenti.

Negli ultimi anni però la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica ha emanato due documenti estremamente importanti che segnano un deciso cambiamento di rotta: “Linee orientative per la gestione dei beni negli Istituti di Vita Consacrata e nelle Società di Vita Apostolica” dell’agosto 2014 ed “Economia a servizio del Carisma e della Missione” del gennaio 2018. Lavori di rilevanza strategica che fanno seguito a convegni internazionali con superiore/i generali ed econome/i generali degli Istituti di Vita Consacrata. Una autentica svolta in favore di una nuova cultura patrimoniale. Un materiale prezioso che non deve cadere nel dimenticatoio. Il nostro Osservatorio si propone di avviare, nel corso del 2021, sessioni dedicate ai diversi capitoli di questi documenti arricchendoli di casi pratici e virtuosi.

Per quanto riguarda le diocesi, si segnalano buoni esempi di documenti diffusi da conferenze episcopali e da singoli vescovi circa la gestione delle risorse anche finanziarie con criteri etici e responsabilità sociale, ambientale e di governance.

 

Nuove funzionalità ed una missione da condividere

Siamo quindi sulla buona strada per raddrizzare il disorientamento tuttavia – ancora oggi – si procede in ordine sparso e, nella maggior parte dei casi, senza una visone complessiva del patrimonio immobiliare che deve essere censito e valutato con criteri professionali mettendolo in rapporto con la missione e con la disponibilità effettiva delle persone capaci di gestire le iniziative in base ai carismi ed alle finalità degli Enti proprietari.

In questo processo occorre anche non essere attaccati al mattone. A volte, vendere diventa necessario per creare liquidità e finanziare missioni che portano a nuove vocazioni con un’attenzione particolare alle nuove iniziative in Asia, Africa e ad alcune nazioni dell’America Latina oppure nelle nuove periferie del cosiddetto mondo occidentale tra i Paesi europei, quelli nord americani od oceanici. Ovunque emergono nuove forme di povertà.

Le problematiche da affrontare non devono  generare ansia per il futuro. Al contrario, sarà possibile vivere questa responsabilità mettendo in pratica una valorizzazione concreta per gli enormi volumi costruiti. Avere visione d’insieme aiuta a comprendere che non tutti gli immobili non più funzionali devono vendersi. Molti possono essere messi a reddito anche con finalità coerenti con gli scopi degli Enti proprietari.

Le nuove tendenze del co-living, coworking, senior living, social housing, student housing ed assisted living aprono nuovi scenari a cui molti immobili sono adatti o possono essere utilmente adeguati. Questo crea preziose opportunità per non disperdere il patrimonio accumulato con tanto generoso sacrificio.

Un patrimonio immobiliare che è quindi possibile rigenerare con nuove funzionalità. In questo senso, tali possibilità ci devono educare a “vedere oltre” e a non arrenderci alla dismissione come unica soluzione. Sono infatti molteplici le combinazioni per poter mettere a reddito il patrimonio immobiliare in maniera coerente e socialmente profittevole.

 

La necessità di aprire una piattaforma comune

Coloro che hanno responsabilità di gestione e amministrazione dei beni immobiliari ecclesiastici non devono sentirsi isolati davanti alle delicate decisioni che dovranno prendere. La mancanza di una rete condivisa aumenta esponenzialmente il rischio di lasciare in eredità ai posteri l’incuria e l’abbandono di un patrimonio frutto del sudore, lacrime e sangue del popolo di Dio. In questa direzione, si stanno esplorando nuove formule per strutturare modelli vincenti di missione condivisa tra Enti religiosi ed ecclesiastici.

Le collaborazioni multi-congregazionali potranno essere dunque decisive insieme alla integrazione con i progetti diocesani presenti sul posto. Queste esperienze dovranno essere messe in rete per raccogliere i casi virtuosi in una banca dati. Tuttavia, la partecipazione e la tecnologia non possono essere sufficienti. Sarà quindi imprescindibile puntare a potenziare le competenze creando spazi di formazione permanente dove poter condividere e studiare insieme i casi pratici con l’esplicita finalità di mettere in moto un approccio positivo, solidale e competente. Nessun Ente deve sentirsi isolato nel momento di prendere quelle legittime decisioni autonome che meritano però un criterio di discernimento comune.

Le operazioni di messa a reddito o di eventuale dismissione passano infatti da valutazioni molto differenti. Nel novembre 2018, Papa Francesco nel messaggio ai partecipanti ad un convegno sul tema – tenutosi alla Pontificia Università Gregoriana – ci ricordava che:

“… anche l’edificazione di una chiesa o la sua nuova destinazione non sono operazioni trattabili solo sotto il profilo tecnico o economico, ma vanno valutate secondo lo spirito della profezia: attraverso di esse, infatti, passa la testimonianza della fede della Chiesa, che accoglie e valorizza la presenza del suo Signore nella storia”.

Siamo quindi chiamati a vivere la fede nel prevedere i bisogni, spirituali e non, dei fratelli e delle sorelle.

Il calo delle vocazioni, il cambiamento del paradigma esistenziale dovuto alla pandemia e la doverosa transizione energetica in chiave di sostenibilità ecologica sono solo alcune delle tante variabili da considerare per dare coerenza alle grandi metrature degli immobili rispetto alle finalità specifiche per cui sono stati costituiti, acquistati o donati.

 

Un adattamento non più rinviabile

Il coraggio di Papa Francesco ci porta a considerare ogni problematica con l’indispensabile realismo che consente di trasformare una situazione complessa in un’opportunità di servizio al prossimo. Lui stesso – in un altro passaggio del messaggio citato in precedenza – ci mette amorevolmente in guardia:

“La constatazione che molte chiese, fino a pochi anni fa necessarie, ora non lo sono più, per mancanza di fedeli e di clero, o per una diversa distribuzione della popolazione nelle città e nelle zone rurali, va accolta nella Chiesa non con ansia, ma come un segno dei tempi che ci invita a una riflessione e ci impone un adattamento”.

L’Osservatorio Permanente sui Beni Ecclesiastici sostiene proprio quel processo di adeguamento che porta alla concreta individuazione di soluzioni di messa a reddito, riorganizzazione e rifunzionalizzazione che, nella misura del possibile, portino alla valorizzazione del patrimonio esistente attraverso un processo condiviso, trasparente e coerente. Intendiamo promuovere 3C (Conoscenza; Competenza; Collegialità) diffondendo cultura patrimoniale canonica e le buone pratiche internazionali nella gestione e amministrazione dei beni temporali. Tale modello deve poi essere messo al servizio della missione perseguendo anche le singole finalità che interrogano i molteplici carismi degli enti religiosi.

Siamo consapevoli del fatto che i problemi del futuro non possono risolversi con gli strumenti del passato. Non possiamo rinunciare ad essere testimoni partecipi di un sano movimento che si dimostri capace di contrastare il rischio di dispersione del patrimonio attualmente non funzionale.

 

Una nuova visione per cogliere il “segno dei tempi”

Il “segno dei tempi” – che Papa Francesco ci invita a presentire – riuscirà ad attivare quel necessario processo di “adattamento” solo se si agirà partecipando all’individuazione dei criteri per costruire insieme un futuro capace di dare una risposta concreta.

Una nuova visione è possibile per una rigenerazione del patrimonio immobiliare degli Enti ecclesiastici e delle Congregazioni religiose. Un processo di valorizzazione rispettoso dei diritti di proprietà e dei carismi dei singoli Enti strutturando una missione realisticamente condivisa ed aperta ad offrirsi per il bene delle persone e del creato nel servire la missione comune della Chiesa universale.

L’Osservatorio resta a disposizione degli economi e degli amministratori degli Enti per approfondire congiuntamente casi concreti, verificare possibilità, individuare soluzioni da applicare alla gestione al fine di valorizzare i beni in funzione delle specifiche esigenze di ogni singolo Ente.

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Dott. Antonio Sanchez Fraga

Fondatore dell’Osservatorio Permanente sui Beni Ecclesiastici
Economista, laureato in Diritto Canonico con Master e formazione specifica nella Gestione di Beni Ecclesiastici

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