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La Sardegna si mobilita per il post pandemia

Ago 12, 2020 | Casi Virtuosi

La diocesi di Ales-Terralba ha creato un fondo di 250.000 euro da destinare alle aziende e ai lavoratori messi in ginocchio dalla pandemia. Un gesto di grande fede, guidato dalle sante esortazioni del Papa ma anche, a detta del direttore della Caritas diocesana don Marco Statzu, dalla volontà di elargire un aiuto a fondo perduto per unire la comunità a fare in modo che anche chi riceve l’aiuto possa in qualche modo portare avanti il circuito di solidarietà.

Ancora risuonano, in tutti i fedeli, le parole che il 2 Agosto, nel santo Angelus, Papa Francesco ha proferito a chi vi assisteva: “la povertà e la mancanza di lavoro sono un problema del post pandemia”, ha detto, facendo presente che ci vorrà “tanta solidarietà e tanta creatività per risolverlo”.
Parole che non sorprendono chi conosce il Pontefice, sempre vicino ai problemi degli ultimi, e che subito sono state monito per svariate comunità cristiane, e in primis la comunità diocesana di una delle zone più in difficoltà del territorio nazionale, quella di Ales-Terralba, già debilitata da una crisi economica preesistente che non ha mai risparmiato nessuno.
La Diocesi, infatti, guidata dalla volontà del Papa, ha subito messo a disposizione un fondo da un quarto di milione di euro per assicurare un futuro a tutte le attività locali che stanno soffrendo a causa della pandemia.
Il fondo è stato intitolato a “San Giuseppe Lavoratore” ed è stato costituito grazie al contributo dell’8xMille alla Chiesa cattolica, al quale sono state aggiunte altre quote diocesane. Un’iniziativa, come detto, rivolta alle piccole imprese e ai lavoratori autonomi, in ginocchio per le difficoltà sostenute durante e dopo i mesi di lockdown. 
Per usufruire del contributo, la cui richiesta dovrà pervenire entro il 31 agosto, si sarà sottoposti alla valutazione di un comitato tecnico nominato dall’arcivescovo padre Roberto Carboni, amministratore apostolico di Ales-Terralba. Il sostegno, è bene ribadirlo, sarà a fondo perduto, ma il direttore della Caritas diocesana, don Marco Statzu, esorta i beneficiari a portare avanti questo circuito di solidarietà aiutando l’intera comunità.
Le sue parole, colme di speranza, sono testimoniate da un’intervista a Radio Vaticana Italia, nel quale ha spiegato obiettivi e genesi del progetto.
«Da marzo in poi abbiamo registrato un aumento delle richieste di aiuto improvviso e drastico. Abbiamo fornito un aiuto materiale indicativamente di cinquemila pacchi al mese. Le domande sono aumentate all’incirca del 30%, rispetto alle persone che già prima si rivolgevano a noi perché non riuscivano a sostenere le spese. Ci siamo resi conto che tra queste persone ci sono anche tanti che mai avrebbero pensato di doversi rivolgere alla Caritas o quantomeno di doverci raccontare le loro gravi difficoltà. In dialogo con il vescovo, monsignor Roberto Carboni, siamo riusciti, dopo più due mesi di lavoro, a creare questo Fondo di Solidarietà intitolato a San Giuseppe Lavoratore destinato proprio alle micro e piccole imprese e ai lavoratori autonomi che operano nel territorio della diocesi.» spiega Don Statzu, per il quale «tante imprese o piccoli lavoratori che riuscivano, tutto sommato. anche a vivere dignitosamente, avendo dovuto chiudere l’attività per alcuni mesi per le misure anti-Covid, hanno visto il loro lavoro andare letteralmente in fumo. Qualcuno ha ricominciato, e forse anche bene, ma altri sono veramente in gravi difficoltà.»
A chi si preoccupa per la burocrazia necessaria per ottenere l’aiuto, il prete assicura: «Abbiamo cercato di rendere le cose facili, ma un minimo di documentazione è ovviamente necessaria. Chiediamo di sapere qual è al momento lo Stato dell’impresa che chiede il sostegno. I richiedenti possono poi presentare qualunque tipo di richiesta di pagamento relativa a fatture di beni o servizi oppure di utenze o di altre spese. Il comitato tecnico, nominato dal nostro vescovo, valuta le singole domande e in caso affermativo eroga il contributo. Abbiamo cercato di presentare un modulo più semplice, rispetto a quello di altri enti statali o parastatali che esigono l’impossibile. Però è ovvio che un minimo di serietà è necessaria nel presentare la domanda.».
L’unica richiesta fatta dalla Diocesi è che, dato che «Il contributo è totalmente a fondo perduto – occorre sempre ribadirlo perché qualcuno teme che i soldi assegnati siano poi richiesti indietro dalla diocesi – perciò abbiamo pensato di promuovere all’interno del nostro territorio una forma di mutua assistenza, un circolo di buone pratiche nel quale chi ha ricevuto a sua volta poi dona. Dona però non secondo una misura che imponiamo noi a livello percentuale o di altro tipo, ma secondo la sua disponibilità e la sua discrezione. Crediamo che questa libertà potrà far aumentare, e non diminuire, il circolo di buone pratiche. Abbiamo fiducia nel fatto che gli imprenditori e i lavoratori sono generosi e quando possono fanno davvero tanto bene. Lo abbiamo sperimentato durante la pandemia: molti imprenditori in crisi, molte aziende che erano chiuse hanno comunque offerto il loro sostegno a chi ne aveva bisogno.»
In conclusione l’obiettivo è di non “sprecare” questa crisi facendo finta che tutto debba ritornare come prima, ma invece imparando la lezione impartita e ottenendo uno spirito di unità e comunità: «Certo, il rischio c’è sempre perché l’uomo è un animale che si abitua alle cose. Io credo che noi non possiamo tornare allo “status quo”, al modo in cui facevamo le cose prima anche nelle parrocchie. Dobbiamo, al contrario, sapere intercettare le richieste di spiritualità e di umanità che vengono da tutte le parti. Io non credo che la soluzione possa essere solo un incremento dello “streaming”, della presenza digitale, per dirla in modo pratico. Penso che bisogna tornare a un’umanità nuova, a un modo di relazionarsi anche nuovo che forse fino ad oggi abbiamo dato per scontato. Ci sembrava che tutto andasse bene o quantomeno in modo regolare: prime comunioni, cresime, matrimoni, eccetera eccetera… Invece abbiamo sperimentato che queste cose fatte così come le abbiamo sempre fatte non bastano.» conclude Don Statzu, ribadendo che «la vita di comunità è anche altro. Qualcosa che finora è davvero mancato. Forse per abitudine, perché le nostre comunità parrocchiali hanno sempre svolto una vita piuttosto regolare. scandita da un calendario di feste, appuntamenti e incontri che improvvisamente è stato spazzato via. Certo un desiderio di normalità c’è in tutti noi, ma credo che non possiamo semplicemente riprendere a fare le cose che facevamo prima.»

Fonte: Vatican News
Immagine di copertina: Wikipedia

Categorie Articolo: 8xmille

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